Ci ha lasciato Giorgio Lo Giudice. La Corsa di Miguel gli deve tutto

Ci sono momenti in cui le parole vorrebbero scioperare, si rifiutano di mettersi in fila per dare una notizia che ci ammutolisce e ci riempie di dolore. Poco fa il nostro, grande immenso presidente Giorgio Lo Giudice ci ha lasciato. Era il nostro vulcano. Fino all’ultimo alle prese con pettorali, cronometristi, giudici, professori: la sua vita. Giorgio è stato mille e una storia. Ha vissuto sempre a tutta. Il carburante della sua esistenza è stato il desiderio di condividere, trasmettere, abbracciare qualcuno e qualcosa. Era nato a Roma, in via dei Giubbonari, il 5 novembre del 1936. Aveva fatto i conti da bambino con la guerra, poi nella Roma liberata era sbocciato all’insegna dello sport, dei prati, delle gare. Non c’era solo la voglia di correre, ma anche quella di raccontare, di organizzare, di costruire. Le sue giornate infinite si sono moltiplicate su se stesse, l’atletica passava il testimone alla scuola, il Club Atletico Centrale al CUS Roma, la scuola al giornalismo, il giornalismo alle tante passioni della sua vita, anche su altri palcoscenici, come dimostra il suo grande amore per la lirica. E allora l’Armellini, il Castelnuovo e il Pasteur prima o con la Gazzetta dello Sport. Una specie di compagno cartaceo della sua vita: certe volte lo faceva arrabbiare, eppure era un classico la mattina una telefonata del tipo “oggi non l’ho trovata all’edicola, ma ch’è successo qualcosa?”. Impossibile ora mettere insieme tutta questa montagna di ricordi, dargli un senso. Parlare del suo straordinario modo di fare squadra anche fuori dai campi, come dimostra l’amore che si è sempre respirato nella comunità della sua famiglia, Sua moglie Amalia e con Fabrizio, Guido, Ines, Liliana, Giorgio, Valerio, Giordano, Ludovico, Elia, che non potevano non sentire l’irresistibile musica di quel pifferaio magico in giro fra partite, ring, traguardi, corse, aneddoti, primo tifoso delle loro piccole grandi imprese. Quanto alla Corsa di Miguel, noi tutti gli dobbiamo tutto, l’aver trasformato un’idea in un progetto, aver allargato i suoi confini, averla fatta parlare con i tanti “mondi” che conosceva. Proteggendola, coccolandola, ispirandola fino all’ultima telefonata all’ultimo guaio dell’ultim’ora all’ultimo caffè da offrire a chi dava una mano. Oddio il caffè non era proprio caffè, ma il “cicorione”, alias ginseng che lui però aveva ribattezzato così memore dei tempi difficili vissuti. Ora non ce la facciamo a scrivere altro. Se non questo: presidente, Giorgio, amico nostro, sarai sempre in mezzo a noi in ogni classifica da compilare, in ogni ritaglio di giornale che casca giù dallo scaffale, in ogni prof o studente diventato prof che ricorderà le tue imprese. Le imprese di tutti i giorni, quelle per le quali lo chiamavi alle tre del pomeriggio di un caldo boia dopo aver lasciato pochi minuti prima in qualche campo fuori Roma. “Giò, dove sei?”. “Alla Farnesina per allenare. Ma dimme tutto”. Quante cose ci hai detto e quante ce ne continuerai a dire.

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