Roma e Torino giocheranno, sono i tempi di orario unico per il campionato, alle 14.30. Ma l’Olimpico apre molto presto perché è anche il giorno dell’atletica. È il 19 novembre del 1961 ed è in programma una 50 chilometri di marcia in pista, 125 giri da inanellare per arrivare nella terra promessa del primato del mondo. Lo stadio è quasi vuoto, saranno tre o quattromila gli spettatori che hanno voluto seguire gli atleti sin dall’inizio. Sono in otto e fra questi ne spiccano due: Pino Dordoni è stato campione olimpico nove anni prima a Helsinki in un’impresa celebrata pure dallo scrittore Italo Calvino. Abdon Pamich, invece, 14 mesi prima ha conquistato la medaglia di bronzo nei Giochi di Roma e tre anni più tardi arriverà niente meno che all’oro. Cinquanta chilometri tutti in uno stadio somigliano a una condanna, la marcia ha bisogno di strade, di asfalto, di boati quando il battistrada sbuca fuori da qualche porta
ed entra sulla pista. Ma Abdon Pamich non si annoia, ha il suo da fare: mentre Dordoni si arrende per un problema al fegato e la concorrenza si sgretola progressivamente (alla fine con lui arriverà soltanto Carlo Bomba), tira dritto.
Ha solo un momento di difficoltà all’inizio dell’ultimo terzo di gara, ma resiste con la maglia indossata per tutta la carriera, quella della Esso. Il gesto del marciatore sembra glielo abbiano cucito addosso.
Ora lo speaker lo incita, gli dice che è sotto la tabella di marcia per superare il primato del mondo del sovietico Lobastov. Intanto, lo stadio s’è riempito, l’arrivo è celebrato da cinquantamila applausi e Pamich ce l’ha fatta: 4 ore, 14 minuti, 2 secondi e 4 decimi. Per lui, anche i complimenti del centravanti della Roma, “Piedone” Manfredini. È il primato del mondo e diventa un altro pezzo della collezione dei suoi tanti trofei.