L’altra Buenos Aires

Un racconto da un’altra Buenos Aires
     Sono le sei del pomeriggio, a Buenos Aires. E’ venerdì. Alcuni hanno preso la macchina e vanno verso il mare e il <campo>, le seconde case dei <portenos>, i cittadini della capitale argentina. Ma noi andiamo verso un’altra Buenos Aires, lontana eppure vicina, un quarto d’ora di macchina dall’obelisco della <Nueve de Julio>, forse il viale più largo del mondo. Vicina? In teoria, però solo in teoria, perchè qui, per dirne una, le ambulanze impiegano un’ora, se va bene, e se arrivano. Questa è l’altra Buenos Aires, quella delle <villas>, delle <favelas>, se fossimo in Brasile. E’ qui che il ricordo di Miguel si fa tenero e in qualche caso drammatico. Fra queste baracche di fortuna, in piazza Kevin, intitolata a un bambino morto per un colpo di pistola partito per sbaglio, dove neanche i cassonetti della spazzatura ci sono perché quando gli abitanti hanno <inventato> la piazza per ricordare il bambino ucciso, il Comune di Buenos Aires ha detto che no, non li potevano dare perché <li avrebbero rubati>. Sono i racconti dei ragazzi della <Poderosa>, il nome lo devono alla moto del viaggio di Che Guevara, fedelissimi della Carrera de Miguel. Visitiamo la redazione della <Garganta della Poderosa>, la loro rivista, un cult per tutta la Buenos Aires che ha voglia di pensare e di non chiudersi nelle boutique del Barrio Norte o della Recoleta.
    Una parte della <villa> è fatta di case in muratura, qualcosa si è mosso, basterebbe poco per arrivare anche dall’altra parte dove fogne che funzionano, gas e luce sono spesso miraggi. Eppure c’è una festa e a ogni porta capisci che è una serata speciale. Camminiamo fra tanta miseria e fra tanti progetti. Ritorniamo sulla strada principale. Dalla <villa> di Zabaleta alla <Villa 21>, molto più grande. Qualche centinaia di metri fra pastori evangelici che strillano e maglie di Messi logorate da un uso sfrenato. Svoltiamo a destra, un muro, e al di là un campo, c’è pure scritto il nome: <La canchita di Miguel>. Poi il murales con la sua sagoma, la sua poesia: <Para vos atleta>… E un mondo. E tanti racconti. E una filastrocca inventata da un ragazzino: <Miguel, Miguel, Miguel, corre nella mia villa, con le mie zapatillas (scarpe)…>.
   Torniamo verso l’altra Buenos Aires senza parole. Solo con l’immagine del murales e il suono di quella canzoncina che non se ne vuole andare…
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