Ludwig Guttmann

Ludwig Guttmann
Il padre dei Giochi Paralimpici

 

All’inizio fu una gara di tiro con l’arco disputata su un prato inglese nel 1948, cui parteciparono, divisi in due squadre, quattordici uomini e due donne, tutti disabili. Usare lo sport come terapia di riabilitazione e molla di riscatto. Questa fu l’intuizione di Ludwig Guttmann, neurologo ebreo fuggito nel Regno Unito dalle persecuzioni razziali della Germania nazista. Un sogno coltivato con ostinazione, fino alla prima edizione delle Paralimpiadi nel 1960, in concomitanza con i Giochi Olimpici di Roma.

Nato nel 1899 a Tost, nella Polonia prussiana, Guttmann incontra la paraplegia da giovane, all’Accident Hospital di Konigshutte, assistendo come volontario uomini menomati da infortuni sul lavoro. Una condizione che all’epoca veniva trattata alla stregua di una malattia terminale, con i degenti lasciati a letto immobili, senza alcuna fisioterapia e stimolo. Diventato medico, Guttmann ha in mente una sorte diversa per i suoi pazienti.

Ma con le leggi razziali introdotte in Germania dal regime nazista nel 1933, il professor Guttmann perde la cattedra universitaria ed è costretto ad assistere solo pazienti ebrei. Durante la Notte dei Cristalli, il 9 novembre 1938, apre le porte dell’ospedale di Breslau, salvando decine di persone dai campi di concentramento grazie a cartelle cliniche false. Dopo questa impresa, il suo destino è segnato e Ludwig decide di trasferirsi in Inghilterra con tutta la famiglia.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il governo britannico gli affida la direzione del Centro per le lesioni spinali di Stoke Mandeville, cittadina alle porte di Londra. Vi sono ricoverati molti piloti della Royal Air Force mutilati in combattimento. Eroi di guerra con lesioni alla colonna vertebrale, corpi straziati dal fuoco e dalle esplosioni. Malati che per tutti sono “inguaribili”, ma non per “Poppa” Guttmann, come lo chiamano i suoi pazienti per il suo carattere autoritario, “da capitano”.
Deciso a farli alzare dal letto, Guttmann rivoluziona le regole della degenza e soprattutto, introduce lo sport come parte integrante del programma riabilitativo: i malati devono esercitarsi a tiro con l’arco ogni giorno, praticare un’ora di tennis tavolo, giocare a basket, proprio con la stessa regolarità con cui si prende una medicina.
Oltre a rinvigorire il corpo, “Poppa” intuisce che la competizione sportiva può riaccendere l’amor proprio dei malati, la loro dignità di persone. Nel giugno del ’48 arriva la prima sfida ufficiale, fra i pazienti di Stoke Mandeville e i degenti della Star and Garter Home di Richmond.

Da quel momento la ricorrenza si ripete ogni anno e sempre più persone arrivano da tutto il mondo per assistere ai miracoli del Dottor Guttmann, incuriosite e affascinate dalle sue tecniche riabilitative. Nel 1952 partecipano alle gare anche alcuni atleti olandesi: una novità che fa assumere alla manifestazione un carattere internazionale. La fama del dottore visionario arriva fino in Italia, dove ad applicare le terapie innovative di Guttmann è il neuropsichiatra Antonio Maglio, direttore del Centro per Paraplegici di Villa Marina ad Ostia.
Dall’incontro fra i due luminari nasce l’idea di esportare i giochi di Stoke Mandeville fuori dall’Inghilterra. E l’occasione dell’appuntamento con la XVII edizione delle Olimpiadi a Roma, appare perfetta.
In quel 1960, per la prima volta nella storia i disabili condividono la stessa città e gli stessi alloggi riservati agli atleti olimpici, gareggiando sulle stesse identiche piste. 400 atleti in carrozzina, in rappresentanza di 23 paesi sfilano davanti a 5000 spettatori. La Gran Bretagna sbaraglia ogni concorrenza, facendo il pieno di medaglie, di cui 21 d’oro, 15 d’argento e 18 bronzi.
Ma al piccolo professor Guttmann del medagliere poco importa, a vincere è stato il messaggio di speranza a tutte le persone del mondo affette da una forma di disabilità, che lui chiama «i migliori tra gli uomini». Con quella prima edizione dei Giochi Paralimpici, il sogno del “De Coubertin dei disabili” si era realizzato.

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